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14/07/2021

Recensione a Siamo noi a far ricca la terra di Marco Molendini

LO SGUARDO RELATIVO DI CLAUDIO LOLLI
Il cantautore che puntava sul rosso (amore, politica, immaginazione) meritava di essere raccontato. Se non altro per aver scelto il rigore, per aver scartato i sentieri facili del mestiere di musicista, per le rinunce, per la coerenza. Vale la pena leggere la storia di Claudio Lolli, per sapere di lui, per sapere di quella  città rossa così piena di voci, di fermenti, di aspirazioni, di velleità e di sogni. Ha fatto un gran lavoro Marco Rovelli, a sua volta cantautore e saggista,  in questo caso biografo romanziere che avverte, a proposito del suo libro Siamo noi a far ricca la terra pubblicato da Minimum fax, che nel racconto «non c'è un solo fatto di fantasia». Del resto, su un personaggio tosto come Lolli non c'è bisogno di ricamare. La sua è una storia dei nostri tempi, parla della difficoltà di stare in linea in un ambiente che fa presto a bollarti, come gli era successo con il suo stesso ufficio stampa, che lo aveva definito «cantore dell'angoscia». Ed è tanto più difficile per uno che, come canta uno dei suoi pezzi più conosciuti, Ho visto anche degli zingari felici ,«accarezza troppo le gobbe». Le gobbe non sono semplici, detestano le cose piatte. E, comunque, le etichette si incollano, è complicato staccarsele di dosso anche se non corrispondono alla realtà. Lo racconta il coro di voci umane che ha contribuito a disegnare il ritratto di un cantautore complesso che, nel suo andare controcorrente, rappresenta una generazione e un'epoca che ancora ha bisogno di essere spiegata fino in fondo, a sua volta descritto troppo facilmente, con i suoi anni di piombo in tutti i sensi, non solo per il piombo del terrorismo ma anche per la pesantezza dei comportamenti, delle tensioni e delle situazioni. Il coro mette insieme la vita, tutto sommato breve, se ne è andato a 68 anni, di Claudio Lolli dalle vacanze bambino a Vidiciatico all'ultimo album Il grande freddo premiato dal Tenco quando già era malato. C'è la Bologna curiosa, vitale che si ritrova a tavola da Vito o all'Osteria delle dame dove si mescolano Dalla, Roversi, Guccini. E anche la città del jazz dove il gigantesco maestro Charles Mingus è passato con un leggendario concerto nel '64 al Teatro Comunale.  Ci sono tutti gli ingredienti per sognare e Claudio sogna, legge, suona, immagina un nuovo ordine sociale. E' un uomo degli anni 70, un curioso ibrido, esistenzialista marxista, un po' Brassens, un po' Ginsberg, un po' De Andrè e resta tale anche quando comincia a soffiare il vento del riflusso che scioglie i sogni e Claudio decide che è meglio mettersi a insegnare:  meglio restare di lato, usare lo sguardo relativo, ma senza mai abbandonare la musica, fino all'ultimo respiro.L

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